“Tra noi e questa cronaca sportiva, si è messa la tragedia”. Inizia così il cinegiornale La Settimana Incom del 15 giugno 1955, all'indomani di una delle sciagure sportive più atroci della storia.
“Sessantacinque bolidi erano partiti alla 24 ore di Le Mans – prosegue lo speaker dell'Istituto Luce incaricato di raccontare gli eventi con la tipica retorica dell'epoca – superando i 260, la velocità inebriava la folla...”.
La grande festa del motorismo e dello sport impiega 9 secondi a trasformarsi in dramma: quelli impiegati dalla Mercedes di Levegh lanciata al massimo della velocità sul rettilineo principale a centrare la lenta Austin-Healey guidata da Lance Macklin.
Tra le due auto ci sono circa cento chilometri di velocità di differenza: Macklin ha appena rallentato bruscamente dopo una maldestra manovra di doppiaggio da parte del leader Hawthorn, futuro campione del mondo di F1, mentre Levegh è in piena corsa per la vittoria finale.
I freni delle vettura ai tempi sono quelli che sono: pur trattandosi del meglio della produzione automobilistica mondiale, il freno a disco sarebbe stato introdotto sulle auto da corsa solo più avanti.
La Mercedes SLR 300 di Lavegh è dotata del classico sistema frenante a tamburo, più un particolare sistema di frenatura supplementare “ad aria” che sfruttava la resistenza dell'aria di una appendice aerodinamica dietro al pilota (un sistema del tutto simile alla frenatura degli aerei civili in fase di atterraggio usato ancora oggi). Per quanto avanzato per l'epoca, il sistema frenante installato sulla vettura tedesca non è sufficiente ad evitare lo scontro.
La Mercedes tampona così la lenta Austin, si schianta subito dopo su un terrapieno (del tutto simile come forma ad una rampa di lancio), viene sparata in aria come una palla di acciaio in parte infuocata dopo l'esplosione del serbatoio, finendo la sua parabola in mezzo al pubblico assiepato sulla tribuna principale.
In mezzo alle persone vengono “sparati” l'asse anteriore, il cofano, parti del motore e benzina. Non può che essere una strage. A terra rimangono 83 persone, i più morti sul colpo, mentre 120 sono i feriti ricoverati negli ospedali dei dintorni.
Al tempo della sciagura, il motorismo è ancora agli albori: tra la pista e le tribune non c'è praticamente nessun ostacolo; niente che assomigli alle modernissime gabbie odierne che avrebbero bloccato detriti di qualsiasi pesantezza. Solo quel terrapieno-rampa ed un esile guard-rail di acciaio.
Nonostante fosse quanto mai chiara la portata della sciagura, la gara fu incredibilmente fatta proseguire; gli organizzatori sosterranno poi questa tesi: “Avessimo sospeso la gara, migliaia di persone in preda al panico avrebbero affollato le vie d'uscita e intasato le strade fuori dal circuito che erano necessari ai soccorsi, col rischio di nuovi incidenti”.
Come ulteriore beffa del destino, a vincere quella gara maledetta fu Hawthorn, pesantemente coinvolto nella dinamica dell'incidente: pur uscendone illeso, Hawthorn aveva doppiato la Austin di Macklin con una manovra maldestra a dir poco, superandolo a sinistra e poi tagliandoli la strada a destra per infilarsi ai box. Per questo Macklin fu costretto alla brusca frenata, preambolo del tamponamento da parte della Mercedes di Levegh.
Hawthorn vinse la corsa e sul podio, forse ancora non informato della strage, brindò e alzò la coppa come nulla fosse.
Levegh, invece, quell'anno si giocava il tutto per tutto: si trovava sulla macchina più forte sulla carta e quella del 1955 sarebbe stata la sua ultima occasione di vincere la già leggendaria “Le Mans” che gli era sfuggita tre anni prima per un guasto al motore ad un'ora dal termine.
Levegh entrò nella storia della Le Mans nel modo in cui, siamo sicuri, non avrebbe mai valuto. Non avrà però modo di rammaricarsene, in quanto fu uno dei primi a morire nello schianto.
Il tributo degli oltre ottanta morti innocenti non fu del tutto vano, perché l'incidente aprì seriamente tra gli addetti ai lavori la discussione sulla sicurezza non solo in pista ma anche attorno alla pista. La strada da fare verso piste sicure sarebbe stata ancora lunghissima da fare: 6 anni dopo, sulla pista di Monza, l'incidente di Wolfgang von Trips avrà una dinamica praticamente identica, con 14 morti, compreso il pilota.
Torniamo a Le Mans: in seguito a quell'incidente, molte gare della stagione furono cancellate, anche forse come “scrupolo di coscienza” per la non interruzione della Le Mans. Non si disputarono il Gran Premio di Germania, la Coppa Acerbo e il Gran Premio di Svizzera. Proprio la Svizzera introdusse una legge per vietare le gare automobilistiche sul suo territorio. Una normativa rimasta curiosamente in vigore fino ai giorni nostri.
La stessa Mercedes, indirettamente autrice della sciagura si ritirò dalle corse in segno di rispetto per le vittime per tornare in pista solo nel 1987.
Le morti sugli spalti attorno a Gran Premi e rally però sarebbero continuati ancora in tempi recenti, con episodi -più sporadici, è vero- fino ai giorni nostri. Non a caso, attorno agli autodromi di tutto il mondo, c'è un cartello tanto chiaro quanto severo con scritto “Motorsport is dangerous”. Lo è e lo sarà sempre.
Foto 2 di Stevingtonian - Opera propria, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=9452931