Una striscia di metallo lunga 50 centimetri e larga 3.
Tanto è spesso il confine tra la vita e la morte di 113 persone, scomparse nello stesso istante in cui uno dei sette aerei supersonici Concorde si schiantò prima contro un hotel e poi a terra, a pochi chilometri dall'aeroporto De Gaulle di Parigi.
Cos'ha di diverso questo disastro aereo da tanti altri? Che ha coinvolto lui, il Concorde, ritenuto fino a quel momento uno dei mezzi più moderni, avveniristici e sicuri di tutto il pianeta. Eppure, anche il “Re degli aerei di linea” quel giorno mostrò il suo lato più debole, finendo la sua corsa come nessuno si era mai potuto immaginare.
Andiamo per gradi. Siamo al 25 luglio 2000, metà pomeriggio. Il Concorde F-BTSC (sigla numerica “203”) di Air France è pronto a decollare dal mega aeroporto parigino intitolato a Charles De Gaulle. Il velivolo ha 25 anni di età e la sua strumentazione completamente analogica inizia a mostrare il peso degli anni. Da tutti, comunque, è ritenuto il mezzo più sicuro per poter volare attorno al globo, visto che in quasi 30 anni di carriera nulla o quasi e mai andato storto sui 14 aerei spartiti in numero uguale tra British Airways e Air France.
Quel giorno, l'inizio della fine comincia che il nostro aereo è ancora fermo sulla pista, con i 100 passeggeri seduti negli stretti seggiolini e i nove membri dell'equipaggio (3 piloti e 6 assistenti di voli) pronti per le tre ore e mezzo di volo necessarie per raggiungere New York. Proprio in quel momento, un McDonnell Douglas DC-10 sta perdendo sulla pista un pezzo di titanio da uno dei suoi inversori di spinta. Un problema da poco per il DC-10 (l'aereo è dotato di molti altri inversori di spinta sulle ali) ma determinante per quanto accadrà da lì a pochi istanti.
Cinque minuti dopo il decollo del DC-10, è la volta del nostro Concorde di lasciare la stessa pista. Fatalità vuole che l'aereo supersonico investa il pezzo metallico con uno pneumatico e che quest'ultimo esploda all'istante.
I brandelli di gomma, pesanti fino a 4 chili l'uno, vengono subito dopo risucchiati dai motori che hanno appena portato il Concorde a superare V1, la velocità oltre la quale il decollo non può più essere abortito.
Il colpo è tremendo: i sofisticatissimi (e altrettanto delicati) motori del Concorde lato sinistro accusano un calo di potenza istantaneo, dovuto ai pezzi di gomma sparati al loro interno come proiettili. Nel colpo, si apre anche una falla nel serbatoio del carburante sinistro, che in quelle condizioni non può che generare un istantaneo incendio.
La situazione è disperata: l'aereo si stacca da terra con due motori danneggiati su quattro e il serbatoio in fiamme. L'equipaggio, in quei secondi concitati, viene avvisato tramite spie d'allarme che due motori non stanno dando il 100% della spinta. Quanto basta per far virare leggermente il velivolo proprio verso sinistra.
Ma il calo di potenza è solo uno dei problemi: c'è un incendio spaventoso che parte dall'ala e si spinge ben oltre la coda dell'aereo; come se non bastasse, a causa dell'esplosione dei pneumatici e ad altri danni, il carrello non rientra al suo posto nonostante i comandi del pilota: evenienza che compromette sensibilmente la manovrabilità del mezzo già molto precaria.
La torre di controllo parigina vede le fiamme del Concorde e predispone in pochi secondi il piano antincendio, dando ordine ai pompieri di tenersi pronti a bordo pista.
L'equipaggio però non ha la manovrabilità del mezzo per invertire la rotta e rientrare da dov'è partito. In quei momenti concitati, il capitano sceglie di tentare il tutto per tutto atterrando nel piccolo aeroporto di Le Bourget, distante una decina di chilometri.
Il tutto si svolge nell'arco di un centinaio di secondi, tanto passa tra l'investimento del pezzo metallico e questo momento, in cui l'equipaggio francese sta sperimentando uno scenario da brividi, che nemmeno nei simulatori è mai stato provato proprio perché estremamente improbabile. I messaggi in cabina tra la torre di controllo e i tre piloti sono concitati e disperati: i primi trattengono il fiato impotenti osservando l'aereo in fiamme dalle loro postazioni, i secondi stanno tentando l'impossibile nel governare un jet supersonico in fiamme e con due motori in avaria.
Purtroppo la manovra disperata di atterraggio d'emergenza non riesce. L'aereo perde velocemente quota e, dopo circa due minuti dallo scoppio dello pneumatico, si schianta contro un albergo e poi al suolo. Muoiono tutte le persone dentro l'aereo e quattro persone che si trovavano nella struttura andata in fumo.
L'incidente segnò de facto la fine dei voli commerciali del Concorde, che si sarebbero fermati definitivamente tre anni più tardi perché giudicati troppo costosi e poco redditizi da un punto di vista economico. La crisi dei voli post 11 settembre, poi, avrebbe fatto il resto e il Concorde divenne velocemente uno splendido pezzo da museo.
Le indagini sull'incidente rilevarono che il pezzo di titanio perso dal DC-10 era stato aggiunto arbitrariamente dalla compagnia di volo (che infatti ha dovuto risarcire i parenti delle vittime) in contrasto con l'agenzia federale americana dei voli civili, che non ne aveva approvato l'utilizzo.
Quel pezzo, insomma, non doveva trovarsi sull'ala di un aereo.
Il resto è stato, come spesso accade quando si parla di un disastro di queste proporzioni, una serie di concause: il pezzo di gomma esploso, il motore che lo risucchia, il serbatoio che viene gravemente forato dai detriti e il carrello che non rientra. L'equipaggio si trovò a fronteggiare l'impossibile: la loro condotta venne giudicata appropriata in sede di processo. Nonostante l'incendio e i problemi di assetto, il comandane e il suo vice riuscirono a dirigere l'aereo lontano dal centro abitato.
Il capitano ai comandi del Concorde quel giorno era peraltro un uomo abituato alle imprese estreme: Christian Marty, veterano della compagnia Air France, nel 1982 fu il primo francese ad attraversare l'Atlantico in windsurf da Dakar (Senegal) a Caienna, nella Guyana francese), senza assistenza, impiegando 37 giorni per completare la traversata. In carriera, aveva ottenuto la licenza per volare ai comandi del Concorde appena un anno prima della tragedia, nel 1999.
La stragrande maggioranza dei morti, 96 per la precisione, era di nazionalità tedesca. Il volo, infatti, era un charter affittato dalla società Peter Deilmann Cruises per trasportare alcuni turisti tedeschi all'imbarco di una crociera di lusso in partenza da New York.