Il Mondo aveva ancora negli occhi la tragedia storica dell'11 settembre. Eppure, quel giorno di ottobre, l'8, il terrorismo non c'entrava nulla con la morte di 118 persone.
Siamo a Milano, zona est, aeroporto di Linate. C'è la nebbia, come mille altre volte d'ottobre a Milano. Quel giorno però, come in tutti i disastri che finiscono come tali, non è solo una bensì una concatenazione di circostanze ad avviare tragedia.
La prima l'abbiamo già citata, la nebbia. Le altre sono distrazioni, scritte sull'asfalto sbiadite e non a norma, radar non pienamente operativi e altro. I fatti si susseguono veloci, il destino non aspetta.
Un Cessna Citation CJ2 privato si “perde” nel bianco ed entra per sbaglio nella pista di decollo principale dell'aeroporto milanese, non aiutato dalle scritte sull'asfalto che risultano estremamente sbiadite (quindi molto complicate da cogliere con quella nebbia) e con caratteri alfanumerici non a norma. Inoltre, la torre di controllo è “cieca”, non vede con quanto succede sotto perché il radar di terra non era pienamente operativo.
Già così vengono i brividi: un piccolo aereo privato contromano nel bel mezzo della pista principale di uno degli scali aerei più trafficati d'Italia.
La catena decisionale (sbagliata) che porta quel piccolo aereo dove non dovrebbe essere è ancora più lunga e complessa: ci sono omissioni da parte dei controllori di volo, irregolarità da parte dell'equipaggio del Cessna ed altro ancora, come una sequenza incredibile di incomprensioni tra equipaggio e torre di controllo, anche a causa di mappe non aggiornate.
Da potenziale pericolo a tragedia il passo è breve: lo stesso che compie il McDonnell Douglas MD-87 della compagnia aerea Scandinavian Airlines diretto a Copenhagen con qualche decina di minuti di ritardo. Si trova lì, davanti al Cessna, proprio mentre sta per staccarsi da terra. Poche decine di metri più in alto e niente sarebbe successo; decine di metri che questa volta non ci sono, perché il grosso aereo colpisce a 270 chilometri all'ora il piccolo Cessna, che si sbriciola in un istante, uccidendo praticamente sul colpo i quattro occupanti.
Lo schianto sull'MD-87 lanciato in velocità è tremendo, il motore destro si stacca per l'impatto, così come buona parte del carrello. Il capitano sta vivendo un incubo ad occhi aperti, ma con grande professionalità e sangue freddo fa l'unica cosa che può salvargli la vita: motori al massimo e flap orientati per poter decollare il più velocemente possibile.
L'aereo si alza fino a 12 metri, poco più di un palazzo di tre piani. L'unico motore rimasto, tuttavia, è a sua volta danneggiato, perché i pezzi del Cessna lo hanno riempito di buchi e squarci. La spinta non basta, l'aereo smette di puntare il cielo e il suo muso torna parallelo al terreno, perdendo però quota con tutta la fusoliera fino al tocco relativamente leggero con il suolo.
Mentre tra i passeggeri il panico dilaga, il capitano con invidiabile freddezza, ben capita la portata del problema, cerca comunque di direzionare il gigante di ferro con i flap verso un atterraggio di emergenza, azionando nel frattempo i gli inversori di spinta per rallentare. Abilità e bravura che avrebbero meritato tutt'altro epilogo.
La realtà è che l'aereo è pesantemente danneggiato e drammaticamente pieno di carburante necessario per il volo verso la Danimarca. La fusoliera e i suoi occupanti viaggiano strisciando sull'erba ad oltre 200 chilometri all'ora, rallentando poco o niente a causa del basso attrito metallo-erba.
Il capitano e il suo vice, gli unici ad avere la visuale davanti a loro, avranno visto apparire all'improvviso dal muro di nebbia il deposito bagagli di fronte. Un attimo dopo c'è lo schianto col muro, seguito dall'esplosione del carburante a bordo dell'aereo. È la fine dei 110 occupanti dell'aereo, cui si sommano quattro addetti ai bagagli all'interno dell'hangar. Un quinto addetto incredibilmente sopravviverà, seppur con gravissime ustioni permanenti.
Come se non bastasse a questa incredibile concatenazione di mancanze, inadempienze e malintesi, anche i soccorsi quel giorno non brillano per tempestività. I mezzi antincendio, anche loro “persi” in quella maledetta nebbia, impiegano una decina di minuti a raggiungere l'MD-87 in fiamme, ed oltre venti per arrivare a ciò che rimane del Cessna. Probabilmente non sarebbe cambiato nulla, visto che solo nei corpi degli occupanti del Cessna verranno trovate minime tracce di gas combusto respirato dopo l'impatto, ma anche questo porta a dimostrare che quel giorno Linate era una roulette russa.
La tragedia portò ad un inchiesta che poi sfociò in un lunghissimo processo, terminato con 11 condanne a 3 anni (grazie all'indulto), tutti responsabili a vario titolo delle operazioni nell'aeroporto milanese.
Come troppo speso accade, si aspetta la tragedia per sistemare le cose: dopo l'incidente, il radar di terra viene ripristinato, vengono rese più severe le regole di comunicazioni terra-velivolo e i caratteri indicatori dei tratti di pista vengono ridipinti in caratteri a norma internazionale. Aver fatto tutto questo prima avrebbe salvato la vita di 118 persone.
Questo racconto e la sincera vicinanza a chi è rimasto coinvolto in quella tragedia sono dedicati alla memoria del comandante svedese Joakim Gustafsson, che con sangue freddo e abilità fu l'ultimo ad arrendersi alla tragedia; i suoi tentativi di mantenere in assetto l'aereo sono stati riprese pari pari nei manuali di volo dell'MD-87, visto che erano state quanto di più efficace si potesse fare con l'aereo in quelle condizioni.