Nel 1996 esce nelle sale cinematografiche di tutto il mondo “Daylight”, film di Robert Cohen interpretato dall'intramontabile Sylvester Stallone.
La pellicola si basa su un devastante incendio scatenato da un grave incidente automobilistico avvenuto all'interno del tunnel sottomarino del fiume Hudson che collega Manhattan al New Jersey. Il film, che l'anno dopo vincerà addirittura un Oscar, si basa su uno degli incubi umani più ricorrenti da quando si è diffusa la mobilità su auto private: l'incidente-incendio in galleria.
Poco importa cosa succede dopo nel film, consueta “americanata” con uno Stallone-salva-tutti-e-tutto.
Importa invece che quella dinamica si sia verificata tre anni dopo, con terribile somiglianza, nella realtà. Più precisamente sotto la montagna più alta d'Europa, il Monte Bianco, nell'omonimo tunnel autostradale.
È la mattina del 24 marzo 1999. Dal lato francese, entra nel tunnel uno dei migliaia di tir che ogni giorno imboccano il tunnel autostradale a canna unica che collega Francia e Italia. È un tir frigorifero, carico di farina e margarina destinato in Italia.
Pochi minuti dopo il suo ingresso, camion subisce un guasto e inizia a incendiarsi a circa sei chilometri dall'imbocco francese e a 400 metri dal confine italiano.
L'autista, il belga Gilbert Degrave, non può far altro che fermarsi. Quella sera stessa, capirà cos'erano tutti quei colpi di clacson e quelle “sfanalate” dei camionisti incontrati fino ad allora dentro il tunnel: il suo camion stava già fumando evidentemente, ma nella sua cabina non ci sono spie di allerta o di pericolo fino a quel momento.
Col camion ko e le prime fiamme sotto la cabina, la situazione degenera in pochi minuti: il carico di margarina alimenta l'incendio appena sviluppato, gli estintori a bordo dei mezzi pesanti non sono sufficienti a spegnere le fiamme che stanno sprigionando un fumo nero acre e denso che rende l'aria irrespirabile.
Degrave scappa e, secondo quanto ricostruito dalla perizia, non aziona il piccolo estintore a bordo. L'incendio è furioso, alimentato dai carburanti e dai carichi dei camion, e si estende ad una decina di autoarticolati nei paraggi e a quattro auto vicini.
Alcuni automobilisti che sopraggiungono, i più fortunati, si accorgono per tempo che c'è qualcosa che non va e invertono la marcia uscendo da dove sono entrati, contromano. Altri, bloccati con l'auto, tentano una disperata fuga a piedi.
Le telecamere di sicurezza mostrano chiaramente la colonna di veicoli fermi, il fumo, gli automobilisti in fuga: nove minuti dopo il guasto, entrano in azione i primi mezzi di soccorso, ma l'incidente si è già trasformato in tragedia. Chi era alla guida dei mezzi vicini al camion frigorifero muore dopo pochi minuti: la schiuma di poliuretano uscita dal rivestimento del rimorchio incendiandosi si era appena trasformata in acido di cianuro. Non a caso, nelle successive autopsie, nei polmoni di molte vittime erano state trovate proprio tracce di cianuro.
Per loro la fine è sopraggiunta in maniera tanto atroce quanto veloce: secondo uno dei responsabili della commissione d'inchiesta, quelle persone sono morte dopo pochi secondi.
La catena alla base della tragedia purtroppo non si è ancora fermata: secondo quanto ricostruito nelle successive commissioni d'inchiesta, credendo di far cosa buona, alcuni operatori del sistema di sicurezza del tunnel azionano i ventilatori non per aspirare il fumo dell'incendio, ma per “immettere aria fresca”. Un errore grossolano, che non farà altro che alimentare ulteriormente le fiamme e generare ancora più fumo.
Nella galleria ormai è l'infermo: la temperatura – come dimostreranno i successivi rilievi – raggiunge i circa 1.000 gradi, dove non c'è fuoco c'è aria ormai satura di fumo. Le lamiere si fondono con l'asfalto, la visibilità è azzerata: sotto il Monte Bianco c'è un altoforno a piena potenza.
Fatalmente, il camionista alla guida del camion che si è incendiato riesce a salvarsi, ma verrà subito “piantonato” dalla Polizia Italiana ed interrogato. Tanti altri non saranno altrettanto fortunati e alla fine si conteranno 39 morti. 53 ore saranno invece necessarie a spegnere l'ultimo focolaio dentro la galleria.
Com'è possibile che sia accaduta una tragedia di tali proporzioni? Rispondere a questa domanda non è banale come può sembrare, perché la battaglia giudiziaria per fare chiarezza sulla sciagura è durata molti anni ma non ha fatto chiarezza al 100% sui fatti di quella mattina.
Sostanzialmente, oltre alla fatalità iniziale dell'incendio sul camion, all'interno del tunnel del Monte Bianco non erano in funzione sufficienti misure anti-incendio. Il sacrificio delle 39 vittime non fu del tutto vano: dopo la tragedia del 1999, serviranno ben tre anni a ripristinare il tunnel, visto che la volta venne completamente schiantata dalle alte temperature.
Con l'occasione, il traforo venne migliorato notevolmente con la creazione di nicchie antincendio ogni centocinquanta metri e di nicchie SOS ogni cento metri in alternanza sulle due corsie. Oltre a questo, da allora il protocollo prevede un posto di soccorso al centro del tunnel, con un veicolo attrezzato allo spegnimento delle fiamme e un gruppo di pompieri presenti in permanenza sul posto.
A livello strutturale, infine, c'è stata la costruzione di rifugi collegati ad una galleria d'evacuazione indipendente (sotto la carreggiata). Tutti elementi che di sicuro avrebbero limitato i danni se fossero stati già attivi nel 1999; ma, com'è tristemente noto, spesso servono le tragedie per riflettere sulla sicurezza ed implementarla.
Purtroppo però, il rischio zero è e rimane una chimera: ce lo ricorderà il 24 ottobre 2001, quando un incidente simile avverrà all'interno del tunnel del San Gottardo, in Svizzera, provocando 11 morti.
La tragedia italo-francese si concluderà con diverse condanne, in maggior parte ai vertici della società proprietaria del tunnel e ai responsabili della sicurezza. Curiosamente, tra i condannati, figurano anche il sindaco di Chamonix e (meno curiosamente) l'autista del camion che ha preso fuoco.
Oggi, a tanti anni da quella sciagura, una targa capeggia fuori dall'imbocco francese a ricordo di quelle vittime innocenti e a monito di tutti coloro che entrano in una galleria, lunga o corta che sia, con assoluta leggerezza.